Madonna del Pilerio o della 'neve'
Santuario Madonna delle Grazie

Il Paese di
Sinopoli


Madonna del Pilerio (1508)

Marmo, cm. 97

Sinopoli Sup., Chiesa di S. Maria delle Grazie

Iscrizione alla base della statua:

<< DO IOANNI RUFFU COTI DI SINOPULI ET BURRELLU MI FICHI FARI 1508 >>

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Questa statua, opera pregevolissima del messinese Antonio Gagini, fu commissionata dal conte di Sinopoli, Giovanni Ruffo, e fu donata all'antico Santuario della Madonna delle Grazie.

Il gruppo scultoreo della chiesa di Sinopoli ripropone un tema iconografico assai antico, rapportabile al tipo dell'Eleusa a Madonna della tenerezza, documentata nell'arte Bizantina a partire dal XII sec., e diffusasi nell'arte occidentale sopratutto in epoca rinascimentale, forse in virtù della sua palese rispondenza alle aspirazioni spirituali di un'epoca che in Dio cercava innanzitutto misericordia e amore.

Nell'opera in esame la Madre sorregge con entrabe le mani il Figlio e tra i due è un colloquio di sguardi ricchi di dolcezza, ma anche di velata tristezza, nei quali è forse da leggere come nelle già ricordate icone, le precognizione delle sofferenze profetizzate da Simone a Maria nel Tempio.

Com'è possibile leggere nelle incisioni dello scannello, il manufatto venne commissionato da Giovanni Ruffo, Figlio del Conte Carlo, personaggio di primo piano nella vita politica del regno meridionale durante il XV sec. e artefice dell'affermazioni economiche e dell'ampliamento dei territori posseduti dal ramo dei Conti di Sionopoli e Borrello. I rapporti di Giovanni con la Sicilia dovettero essere assidui - siciliane erano la madre e la sua seconda moglie- e probabilmente la frequentazione e la conoscenza della largamente accreditata bottega dei Gagini si pone all'origine dell'incarico al giovane, ma già assai conosciuto Antonello.

Fu il Francipane a ricondurla primariamente al maestro siciliano, seguito dal Kruft che ne lamentava però uno scadimento formale nella realizzazione del panneggio tanto da ritenerlo 'opera di aiuto incapace'. E' evidente nello shema compositivo il richiamo ad alcune opere di recente restituite alla produzione del padre di Antonello, Domenico, tanto in relazione ad alcune scelte di realizzazione -la scultura con il sottostante scannello costituiscono un unico blocco- quanto di rappresentazione. Come infatti nel rilievo marmoreo del palazzo comunale di Fondi, recentemente restituito da Negri Arnoldi all'attività di Domennico, la Vergine sorregge con entrambe le mani il Figlio, e la sua figura, a tre quarti, risulta avvolta in un mantello le cui pieghe, raccogliendosi in basso, la iscrivono come una mandorla. E' proprio il riferimento a questi modelli, desunti da noti prototipi del protorinascimento fiorentino e forse indicati dallo stesso committente, a spiegare il carattere arcaizzante della rappresentazione, subito smentito dal prevalere dei toni più propri dell'arte e del linguaggio di Antonello. Nel percorso artistico di quest'untima opera di Sinopoli si pone come una tappa di rilievo, forse riconducibile a quel soggiorno romano, non documentato ma ipotizzato dalla critica, e databile tra gli anni 1505-06; esso segnerebbe quasi una cesura nella formazione del giovane artista in quanto al 'tipo' di Madonna innagurato dalla struttura di Nicotera (1499), e replicata in numerosi esemplari, segnerebbe una evoluzione di gusto, contrassegnata da un maggiore pittoricismo e dalla ricerca di una interiorità che nel manufatto in esame, come già nella Madonna di San Cristino del 1507, vela gli occhoi della Vergine di un indicibile e soffusa malinconia. Deriva da ciò la centralità che la scultura di Sinopoli assume non solo nel maturarsi dell'artista, ma certo anche dell'uomo Antonello, capace di infondere alle devote immagini tanto apprezzate dai committenti, un soffio di spiritualità cui, non ha torto, il Kruft riconosce un sapore michelangiolesco.

Vista laterale della stutua


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