La Storia di Sinopoli





Il Paese di Sinopoli


        Altre notizie sull'antica storia, gli usi e i costumi di Sinopoli possono travarsi nei seguenti volumi:

              1) Dalla preistoria all'origine della Contea di Sinopoli - Di G. Fimmano' e A. Guenzani

              2) Sinopoli nel tempo - Di Antonio Luppino

              3) 'A Dera' - Di Giuseppe Misitano

4) Il mio bel paese - Di Antonio Luppino

 

 

Origini storiche di Sinopoli

Per quanto riguarda le origini storiche del paese di Sinopoli vi sono varie ipotesi:

I ipotesi

" L'esistenza di Sinopoli è antica le sue origini sono sperdute nel passato, addirittura risalgono al 3000 A.C. e precisamente al periodo in cui le Amazzoni peregrinavano in Asia e nell'Europa. Ci riportiamo al tempo in cui, a Marpesia, regina delle Amazzoni, successe nel regno la giovane figlia SINOPE o SINOPIA; questa nuova regina, fondò la capitale vera e propria all'interno tra le foreste ed un anfratto ai piedi dell'Aspromonte, sulla confluenza dì due fiumi affluenti del Petrace: il Vasì e il Filesi. Vasì, da Uaxindos, significa simile al giacinto, violetto scuro, forse a causa del colore delle rocce su cui scorre, il Filese, da filè, uguale amico e xi o xeno, uguale straniero e cioè: amici stranieri ospitati. Così chiamasi ancora oggi la zona che si estende a monte di Sinpoli Greco. Dal lato Sud-Ovest, dello stesso " Sinpoli Greco ", inece, vi è altra zona ed un fiume entrambi chiamati: "Sevena" Sinopoli era posta sullo schienale di una altura che dominava tutta l'attuale piana di Gioia Tauro, anch'essa allora inaccessibile dal mare, sia per le foreste, sia perché a quel tempo acquitrinosa. Tale capitale, in omaggio alla fondatrice, fu chiamata " SINOPE POLIS " e più semplicemente "SINOPOLIS " nome che tutt'oggi si conserva inalterato da quasi cinque millenni.

II ipotesi

Nell'Archivio di Stato di Napoli e precisamente nell'archivio privato dei Ruffo, conti di Sinopoli, esiste una pergamena che tratta della platea di Sinopoli dell'anno 63 di Cristo. La pergamena è dell'anno 1335, dall'originale greco dell'anno 1207, 4 novembre III edizione, e di essa Renata Orefice cosi scrive: " E un bel codice di 128 fogli di pergamene, scritto a due colonne in bella scrittura gotica. libraria con rubriche e lettere iniziali miniate in rosso e con aggiunte posteriori a pagina piena in gotica minuscola ed appare leggermente bruciacchiata ai margini ". Su tale pergamena sta studiando l'insigne storico francese A. Guillou per la completa decifrazione e critica del codice. Sinopoli è paese di origine greca, deriva dalle parole greche " sun e polis " che potrebbero significare " centro di città " oppure " unione di città ". Forme dialettali e costumi del popolo ancora in uso ci fanno ricordare la Grecia antica.

III ipotesi

Sinopoli deriva da " Sinone in Normanno. Tale ipotesi non ha trovato molta credibilità tra gli storici.

 

Si è finora trattato di Sinopoli Inferiore che in quasi tutti i testi consultati risulta fino al 1783 capoluogo con la sola frazione di Sinopoli Vecchio, detto Sinopoli Greco. " Sinopoli Nuovo ", Capoluogo, ha sede amministrativa dopo il famoso cataclisma del 15 febbraio 1783. Come abbiamo detto, prima di allora fu sempre borgata dell'attuale Sinopoli Inferiore. Questo borgo, dove oggi è Sinopoli Superiore si chiamava" Case Pinte " o " Madonna " la cui origine è oscura, ma ne è certa l'esistenza molto prima del 1636, anno in cui fu trovata la Madonna della Renda. Ecco quanto il Giustiniani ci dice: " Sinopoli terra in Calabria ulteriore, compresa nella diocesi di Mileto, distante da Catanzaro miglia 82 circa. Convengono gli scrittori essere questa terra di origine greca, ma di quali greci non seppero affatto indicarlo. La medesima è divisa in due posizioni, una dicesi Sinopoli Greco o Vecchio; l'altra Sinopoli nuovo ". Ed ancora il Taccone: " Successo il tremuoto del 1783 i cittadini del distretto di Sinopoli passarono sotto il patrocinio di Maria, e così il villaggio (Case Pinte) è divenuto Città di Sinopoli " .

 

 

Sinopoli Vecchio

 

Sinopoli Inferiore

 

 

Sinopoli sotto il dominio Bizantino e Normanno.

Accertata l'origine di Sinopoli, riportiamoci ai tempi in cui la Sicilia era in mano ai Mussulmani e lo stesso molti paesi della Calabria. Il mare pullulava di pirati e spesso questi facevano scorrerie nei paesi costieri, ragion per cui le popolazioni delle riviere, per sfuggire alle depredazioni dei terribili Saraceni, si rifugiavano in terre interne, nascondendosi con le loro famiglie e i loro averi. Salvati, nelle ricche e folte vegetazioni dell'Aspromonte. Questo avveniva sulla fine del VI secolo durante le invasioni dei Longobardi e nei VII secolo dei Saraceni d'Africa. Verso la fine del secolo X gli " strateghi " dei Bizantini, che dominavano in Calabria, non riuscivano con le loro milizie, insufficienti, a fermare le orde dei Saraceni, che venuti dal mare, assetati di sangue ed avidi di ricchezze, si spingevano fino ai villaggi più sperduti della foresta aspromontana. Nel 951 Hassan-Ibn Alì, Emiro di Palermo, compì in Calabria una sanguinosa scorreria e riuscì a scacciare i Bizantini palmo per palmo, costringendo gli abitanti della costa a rifugiarsi, per sfuggire alla morte, nei castelli di Sinopoli, Oppido, Seminara, S. Cristina e a nascondersi tra la folta vegetazione dell'Aspromonte . E furono questi esuli rifugiatisi nell'Aspromonte che fondarono Pedauli e Paracorio, oggi Delianuova. Tra il 952 e il 953 il nostro suolo fu spesso calpestato e dai Saraceni e dai Bizantini, contrastati da Ottone I, il quale intendeva affermare la sua sovranità sull'Italia meridionale. Sconfitto Ottone, Saraceni e Bizantini incominciarono di nuovo a combattersi sulle nostre desolate terre. Nel 1037, l'imperatore bizantino Michele IV, con un esercito formato anche di avventurieri normanni, invase ed occupò la Sicilia, ma, nel dividersi i ricchi bottini, i bizantini, per gelosia del gran volere che i normanni avevano dimostrato, esclusero dalla divisione gli alleati, rimandandoli a Reggio, ove li licenziarono. I Normanni, offesi per il trattamento ricevuto dai Bizantini, organizzarono un esercito con a capo Roberto il Guiscardo, occupando tutto il versante meridionale della Calabria. Nel 1058 Ruggero, fratello di Roberto, occupò Reggio ed assediò, espugnandoli, i castelli di Sinopoli, di Oppido, di Cinquefrondi, di Mileto e di molti altri paesi. Successivamente Roberto, nel 1060, dopo aver conquistato tutta la Calabria, fu proclamato Duca di Puglia e di Calabria col suo dominio a Mileto. Il feudo di Sinopoli fu dato in dote da Roberto " a Flandria, secondogenita del conte Ruggero, e sposa di Enrico figlio del Marchese Manfredi ".

 

Ruggero dona a Sinopoli la reliquia del capello della Madonna e del teschio di S. Bonifacio Martire.

Dopo secoli di continue guerre, di invasioni, di scorrerie e di distruzioni di ogni genere, scompare a poco a poco l'antico splendore della Magna Grecia; si mutano i costumi, gli usi, il linguaggio, solo la fede in Cristo è rimasta profonda, indelebile, come conforto al dolore e alla triste odissea della nostra gente, che a tutto provata, viveva nella speranza di un domani migliore, di pace e di bene. Questa nostra terra, pur se ricca di antiche civiltà e libertà, era ridotta nella schiavitù e quasi nell'abbrutimento. La pace, anche se apparente, sembrava fosse giunta sotto il dominio Normanno. Vengono introdotti gli ordinamenti feudali e il castello di Sinopoli, unitamente ad altri, incomincia a fiorire per popolazione, munendosi di valide opere di difesa. Morto nel 1081 Roberto il Guiscardo, Ruggero diventa pure Conte di Sicilia ed avendo sedato le discordie sorte tra gli eredi del fratello ricevette in compenso dal nipote Ruggero I il dominio dell'altra metà della Calabria. La fede nella religione cristiana, e forse il rimorso per le uccisioni e le devastazioni, fanno di Ruggero un grande fautore di opere cristiane. Incominciò a diffondere e favorire con ogni mezzo la religione di Cristo: fondò, aiutò e donò denaro e terreno per le istituzioni di opere religiose. Ma questo periodo aureo di pace fu passeggero, perché, ancora con altre guerre, subentrarono gli Svevi con Fedcrico II e poi gli Angioni con Alfonso I, il quale divide la Calabria in Citeriore e Ulteriore, ragion per cui la nostra Sinopoli faceva parte della Calabria Ulteriore. Nel 1250 morì l'imperatore Federico e poco tempo dopo il suo successore Corrado. Rimase erede al trono Manfredi, poiché Corradino era fanciullo, e come Vicerè Pietro Ruffo.

 

I Ruffo e Sinopoli.

Non si può scrivere sulla storia di Sinopoli senza almeno accennare ai Ruffo, la cui storia si ricollega a quella di Sinopoli stesso. Sembra che il capostipite dei Ruffo, Pietro, altri non fosse che un abile servo della casa Sveva, divenuto con intrighi e loschi maneggi giustiziere ed infine Conte di Catanzaro e Vicerè del Regno. Ma nella " Cronaca Cassinese " si parla di un'alleanza intercorsa verso il mille tra l'imperatore di Costantinopoli i Ruffo ed i Giuliani per la riconquista della Puglia e della Calabria. E furono Filippo ed Enrico Ruffo a ricevere, in Calabria, nello 1091, Roberto Duca di Puglia. Da Filippo nacque quel Pietro Ruffo che fu creato Cardinale da Papa Gelasio II; si hanno di nuovo notizie sui Ruffo di Calabria solo durante il Regno di Federico II, con Serio, detto Ruffo di Calabria, da cui nacquero Pietro, Fulcone ed Enrico; di questi si distinse Pietro, che fu Maresciallo dei Regno e Vicere' di Sicilia. Alla morte di Federico fu nominato balio di Corrado, che nel 1252 lo investì del contado di Catanzaro. Da ricordare c'è anche un documento custodito nell'Archivio di Stato di Napoli, che riguarda la genealogia dei Conti di Sinopoli e che riporta le loro origini al 63 D.C., ai tempi di Nerone. A questo proposito il Barone scrive. " At vero anno urbe condita 816, aetas Neronis, et 64 aeve cristiane postquam Julio vindice qui defensione in Gallia excitavit e militibus Virgilii Ruffi, qui Germaniam obsidebat idem imperator designatus est. Qui tamen Virgilium Rufuin, primum cum Flavio Sabino consul, et postea cum Nerva Calo imperatore, tandem cx jussu senatus provinciae Insubriae, nune Lombardiae, et Mediolani fuit hic perpetuus gubernator, similiterque filius Menutius Rufus eundem Dominium Imperatoria authritatc acquisivit, qui etinin consul cum Valerio Saturnino " Nel documento sopra accennato così è scritto'. " Or da questa valorosa Nazione (la Normanna) molte delle nostre napoletane schiatte traggono il loro principio e primieramente dal conte Adimaro, uno dei fratelli del duca Roberto il Guiscardo e dal conte Ruggero vengono, cosa sinora stata occulta non senza colpa di loro medesimi poco avvisati in andare conservando le memorie dei loro passati dalle tenebre degli anni, sono state i Ruffo degli antichissimi e continui baronaggi, che hanno tenuto in Calabria Calabresi comunemente giudicati. Ebbero dal Re di Svevia il contado di Catanzaro, nella persona di Pietro il quale in quei travagli del Re Manfredi, ritrovandosi Vicerè in Sicflia, fu presso che assoluto Signore di tutta quella Isola e la perdette per rivolte che fecero contro di lui li siciliani: ebbero poi parimenti il Marchesato di Cutroni, il Contado di Sinopoli, che ancora possiedono col principato di Scilla, Marchesato di Licodia e Principato di Palazzolo in Sicilia essendo altresì stati Conti di Montalto, ed avendo molti altri titoli di dignità sebbene più per nobiltà di linguaggio e per grandezza, che per valore per militia ". Pietro Ruffo divenne tanto potente che Innocenzo IV volendo impadronirsi del Regno di Napoli gli scrisse da Anagni, riconoscendogli i suoi possedimenti e spingendolo ad occupargli la Calabria; Pietro di Calabria cercò di barcamenarsi tra Manfredi e tra Innocenzo IV, ma in seguito il Papa gli affidò a Roma una Armata per sconfiggere Manfredi e si inimicò il Re tanto che per sfuggire alle sue persecuzioni dovette rifugiarsi in Francia, da dove ritornò al seguito di Carlo d'Angiò, che reintegrò i suoi possedimenti. La famiglia Ruffo nel corso dei secoli si divise in diversi rami: di Sinopoli e Scilla, di Bagnata, di Castelcicala, di Baranello e della Scaletta.

 

 

I Ruffo fortificano il castello di Sinopoli

Capostipite del ramo di Sinopoli fu Fulco, rimatore della Scuola Siciliana e fratello di Pietro, conte di Catanzaro; sposò Margherita, figlia di Carnelevario di Pavia, il quale era possessore di vasti dominii nel Contado di Sinopoli. Margherita portò a Fulco Ruffo, in dote, la signoria di Sinopoli, mentre il titolo di Conte fu concesso solo nel 1335 a Guglielmo Ruffo. E fu lo sposo di Margherita, Fulco Ruffo, che fortificò i castelli di Sinopoli, Bagnara e Nicotera; Manfredi, però, vedendo in pericolo il suo dominio in Calabria, mandò uomini bene armati al comando del capitano Corrado Truich e di Cervasio di Martina, che espugnarono il Castello di Sinopoli. Fulco Ruffo si rifugiò nel Castello di Seminara, ma ben presto, nel 1255, venne scacciato e fu costretto a rifugiarsi nel Castello di Santa Cristina, che in questa occasione venne fortificato. Intanto i messinesi scacciarono i Ruffo e proclamarono la Repubblica e dopo aver formato un esercito invasero la Calabria, dove sorpresero Consalvo, catturando Corrado e Cervasio, capitani di Manfredi, i quali sconfitti furono costretti ad abbandonare i castelli di Sinopoli e Seminara che vennero saccheggiati dai Siciliani. Ma mentre i siciliani rientravano a Messina carichi di preda, il capitano Gervasio, riavutasi dalla sconfitta di S. Martino, divise le sue genti in tre bande, restò con una banda a sorvegliare Fulco Ruffo, che a S. Cristina aspettava il momento della rivincita, mentre mandò le altre due a tagliare il passo ai siciliani. Lo scontro avvenne sui Piani della Corona e la vittoria arrise completamente agli uomini del capitano Gervasio sopratutto per l'aiuto dato dagli uomini di Sinopoli, di S. Eufemia, S. Procopio e Bagnara. Gli uomini in questi paesi, avvezzi alle battaglie, col cuore pietrificato per le continue angherie subite, riuscirono a sbarrare il passo ai siciliani, uccidendoli quasi tutti. I campi dei Piani della Corona erano cosparsi di cadaveri e bagnati di sangue; non si salvarono neanche quei siciliani che, scampati alla battaglia cruenta ed inaspettata, erano scappati attraverso i boschi dell'Aspromonte, perché furono, a loro volta, uccisi dai contadini e dai briganti che infestavano la zona. Così le popolazioni sopraddette riebbero quello che loro era stato trafugato e rubato dal saccheggio dei Siciliani. Nel 1256 Federico Lancia, zio di Manfredi venne in Calabria nel tentativo di consolidare il potere regio e tentò più volte di espugnare il castello di S. Cristina tenuto da Fulco Ruffo. Fulco cedette solo quando si accorse dell'inutilità di ogni resistenza, essendosi impossessato Manfredi di tutta la Calabria e della Sicilia.

 

Il Re Pietro d’Aragona a Sinopoli.

Dopo la morte di Manfredi e di Corradino fu la volta di Carlo d'Angiò, il quale, dopo essere stato scacciato dalla Sicilia in seguito alla insurrezione dei Vespri del 31 marzo 1282, fortificò in Calabria castelli e città concentrandosi col forte del suo esercito a S. Martino, ma, lasciando forti schiere di uomini nel castello di Sinopoli.Re Pietro di Aragona che si era nel frattempo impadronito della Sicilia, mandò segretamente uomini nlle campagne e nei boschi tra Sinopoli e Solano per ostacolare le comunicazioni degli angiomi col presidio di Reggio; ed il nostro popolo, stanco dei soprusi e delle angherie degli angiomi, accolse festosamente a Reggio Pietro d'Aragona, il quale, per rendersi conto della situazione, si spinse con poca scorta tra i boschi di Solano fino alla fortezza di Sinopoli. L'episodio viene così riportato dall'Amari:

« Conduce i suoi per i boschi di Solano e ad otto miglia dal grosso delle genti francesi, e non guari lontano dalle lor poste, li accampa in un rispianato che ha nome Corona (Piani Corona) sopra alpestri e selvatichi monti, sicure di assalti, comodo di portarne nei luoghi bassi d'interno. Quivi i Greci del paese di Sinopoli, usi a praticare senza sospetto tra i nemici, di ogni fiatare di quelli ragguagliavano. Cheto ci posava, come se quelle foreste le avessero inghiottito tantoché in Calabria già bruciavano che era un uom dappoco e acquattavasi per la paura. Quand'ecco stando agli allogiamenti a Langrussana (Grassana presso Sinopoli) 500 cavalli capitanati dai Raimondo de Beaux mentre stanchi di gazzoviglia, repente un fracasso li riscuote…..>>

Il Re Pietro, mentre era a Sinopoli essendo venuto a conoscenza che a Seminara il Comandante di questo distaccamento, che era in mano angioma, doveva pagare le milizie con seimila once d'oro, organizza con grande furbizia un assalto notturno, ruba seimila once d'oro ed altro bottino e stracarico di preda, dopo avere espugnato il Castello di Seminara, ritornò al suo accampamento dei Piani di Corona. Pietro, dopo aver occupato tutte le terre vicine ai piani convocò a S. Martino un parlamento ,a cui parteciparono nobili, prelati e semplici cittadini che approvarono le nuove leggi della Monarchia. Ma quando nel 1286 muore Pietro, gli successe al trono di Sicilia Giacomo e a quello di Aragona Alfonso, il quale trattò da solo la pace con gli Angiomi, ragion per cui Giacomo, offeso da tale comportamento, il 15 maggio 1289 occupò Reggio ed espugnò i castelli di Sinopoli e di S. Cristina.

 

Sinopoli e lo strapotere dei Ruffo

Quelli che seguirono alla morte di Pietro d'Aragona furono anni, per Sinopoli, di pace relativa, rotta ogni tanto dalle contese che sorgevano con i centri vicini per motivi di confine. E in questi anni Sinopoli si sviluppò economicamente, facilitata dal fatto di trovarsi a pochi chilometri da una diramazione della via Appia, la via Popilia, costruita dal P. Popilio nel 130 a. C. (oggi è la via adiacente alla strada privata dei fratelli De Leo di Bagnara, nel Comune di S. Eufemia, sui Piani della Corona e che dalla Catena porta a Covala e Figurella nello stesso Comune di S.Eufemia). Sinopoli per la sua posizione geografica (al centro dei paesi della falda dell'Aspromonte) e per gli uomini famosi nel campo della legge, della medicina, della guerra, della religione, divenne il paese più importante di tutta quella vasta zona ed ebbe fino al termine del XVI secolo una parte di primo piano negli avvenimenti storici ed economici calabresi. Nel 1339 troviamo Sinopoli in lotta con gli abitanti di Reggio Calabria per pretesi sconfinamenti. Ecco come uno storico ci racconta la contesa:

« I reggini corsero e danneggiarono le terre del Conte di Sinopoli Don Guglielmo Ruffo, cause di controversie ingiuriose sorte tra di loro per i confini mal determinati tra il distretto dì Reggio e i domini del Ruffo di Sinopoli; e mentre questi a loro volta si apprestavano a fare altrettanto col territorio reggino, intervennero i regi ufficiali e composero ogni dissidio. Questa conciliazione fu fatta addì 26 settembre del 1339 con atto pubblico rogato in Sinopoli dal notaio Marchisio De Theis di Seminara con l'assistenza del giudice del luogo Basilio De Durante ».

Sinopoli era confinante col distretto di Reggio fino a Solano e a Bagnara e col tenimento di Seminara e comprendeva S. Eufemia, S. Procoprio ed Acquaro. Si può quindi capire quanto grande fosse la Contea di Sinopoli e come i suoi signori fossero in grado di sfidare chiunque. I Ruffo governavano la Contea di Sinopoli con fermezza ed anche se il popolo viveva sotto la ferrea protezione dei loro signori lavorava in pace, perché, sotto la guida dei Ruffo e dei blasonati d'allora, affrontava, con ardire indicibile, il potere regio. Quando nel 1372 la Regina Giovanna, erede di Roberto, venne scomunicata e deposta da Papa Urbano VI, scoppiarono nuove guerre che fecero cadere nell'anarchia tutta la Calabria e che culminarono nei disordini che seguirono la morte del successore di Giovanna, Carlo di Durazzo; infatti, il figlio di quest'ultimo, Ladislao, e Giovanna guerreggiarono spietatamente fino a che Ladislao non riuscì nel 1400, ad impadronirsi di tutto il Regno. Il Conte Ruffo, partigiano dei D'Angiò, si ribellò a Ladislao ed occupò Reggio e le terre vicine, ma venne ben presto assalito da Ladislao, che lo spogliò di tutti i suoi beni, comprese le terre di Sinopoli, costringendolo a fuggire nel 1411 in Provenza. Nel 1414 morì Ladislao e gli successe la sorella Giovanna, la quale ampliò i privilegi dei nobili; il Conte Ruffo di Sinopoli, Carlo, ritornato dall'esilio rientrò in possesso dei suoi domini e nel 1419 comprò dalla Regina Giovanna, per dodicimila ducati, Bagnara e diventò il più potente feudatario della Calabria. Dopo la morte di Luigi D'Angiò e di Giovanni, la provincia di Reggio venne data a Ferrante d'Aragona, figlio di Alfonso I e sotto il suo governo lo strapotere dei signorotti raggiunse il culmine. I Ruffo non solo hanno lo « ius primae noctis » nei riguardi delle donne ma anche il diritto di vita e di morte sui loro sudditi. E’ interessante leggere questo passo dell'insigne storico Ernesto Pontieri per rendersi conto dello strapotere dei nobili:

« gli espatriati (nel secolo XV erano notevoli le migrazioni interne) si vedevano tassati sia nel luogo di origine che in quello in cui avevano preso domicilio. Per rimuovere siffatti inconvenienti la corte aveva stabilito che il focatico e la tassa del sale si dovessero pagare nel paese in cui si era stati censiti; sennonché prescrizioni inequivocaboli come queste non avevano alcun valore non solo per il Conte di Sinopoli e per i baroni esosi come lui, ma anche per parecchi funzionari…».

 

 

I Ruffo concedono ai servistemmi e blasoni

La battaglia di Terramala

Come vediamo, ormai il feudatario, e nel nostro caso il Conte Ruffo di Sinopoli, è lo Stato nello Stato, il suo strapotere è fortissimo e grandissimo; si concedono privilegi e blasoni, regalie e titoli; il servilismo aumenta e lo stesso il potere dei padroni. Si cancella quello che i normanni, gli angiomi e gli svevi avevano fatto, la società si dissocia, non più umane creature di Dio ma servi e padroni. Lo spirito, l'ansia e l'anelito di libertà cova lentamente nell'animo e nel subcosciente degli oppressi; l'autorità dello Stato centrale è annientata. Morto il Re Alfonso il 27 giugno 1458, gli successe al trono Ferdinando I, il quale nelle campagne di Sinopoli si scontrò con le milizie angiome e venne sconfitto; tra gli uccisi ci fu pure il Conte di Sinopoli Guglielmo Ruffo; pur avendo riportato questa vittoria, gli angiomi non riescono a conquistare tutto il regno, perché non aiutati dai baroni che si chiusero nei loro castelli. Così Ferdinando I restò il solo padrone del Regno e nominò il figlio Alfonso governatore, il quale fece sentire il suo pesante potere sui feudatari. Questi tramarono contro di lui con la famosa « Congiura dei baroni », la quale fallisce e tutti i baroni vennero privati dei loro beni, ad esclusione del Conte di Sinopoli, il quale non aveva, prudentemente, preso parte alla suddetta congiura. Ma Alfonso, odiato da tutti fu costretto a ritirarsi in un Convento a Palermo e gli successe Ferdinando II, il quale dovette subito scappare per non cadere in mano dei Francesi di Carlo VIII. I Ruffo di Sinopoli al servizio degli Aragonesi presero parte alla grande battaglia che fu combattuta a Terramala. Era il 21 giugno 1945, Ferdinando II incautamente era uscito dal grande Castello di Seminara sottovalutando e il numero e l'arte di guerra degli angiomi comandati dal D'Aubignj; lo scontro fu violentissimo e gli Aragonesi furono decimati, i superstiti si salvarono solo per la bontà degli abitanti di Bagnara, che con le loro barche li trasportarono in salvo in Sicilia. I Francesi occuparono il CastelIo di Seminara e di Sinopoli e proseguirono per Reggio; ma il successo non fu duraturo perché Consalvo, capitano di Ferdinando II, occupò la Calabria. Alla morte di Ferdinando II successe al trono suo zio Federico II, il suo regno venne invaso da Ludovico XIII, successore di Carlo VIII; però Federico, con l'aiuto degli spagnoli riesce a rioccupare le terre perdute, ma fu costretto a cedere loro la Calabria che ebbe come suo governatore don Ugo de Cardona. L'anno dopo il governatore di Calabria don Ugo, venne sconfitto da Federico II e così con le sue truppe è costretto a fuggire sull'Aspromonte per raggiungere Bovalino. Don Ugo non si dette per vinto ed affrontò di nuovo le truppe di Federico II nel triangolo S. Giorgio, Seminara e Sinopoli; le milizie aragonesi, anche se di molto superiori e per numero e per armamento, dovettero faticare per sconfiggere le eroiche truppe di don Ugo, il quale dopo essere tornato a Bovalino, accetta una sfida dal D'Aubignj e lo sconfisse, costringendolo a rifugiarsi con i suoi all'Angitola; così tutto il Regno di Napoli fu sotto il controllo di Ferdinando il Cattolico. Consalvo ricevette dal Re Ferdinando II l'ordine di riorganizzare il regno e, per preservarsi da eventuali ribellioni, cercò di accattivarsi la simpatia dei feudatari concedendo loro nuovi privilegi ed ampliando i loro possedimenti.

 

Splendore di Sinopoli e costruzione del « Palazzu »

In Sinopoli, intanto, si sviluppò il commercio e l'industria ed aumentarono in maniera sempre crescente le filande; i Sinopolesi, pur se sottoposti al Ruffo, dopo tante guerre ottennero un certo benessere. Nel 1533 il Conte di Sinopoli Paolo Ruffo acquisto' dal cognato Gutter De Nava il feudo di Scilla; il più grande amministratore della famiglia Ruffo è Paolo il quale seppe governare il suo feudo con grande competenza ed abilità come si rileva dall'inventario dei beni di Paolo Ruffo eseguito in Sinopoli il 18 aprile 1565. La costruzione di un fabbricato ancora esistente, anche se diroccato, « u palazzu », risale al periodo del governo di Paolo tra il 1530 e il 1543 e, poiche' i Ruffo nel 1543 si trasferirono a Scilla nel Castello fortificato, l'opera rimase incompleta e mai abitata dai Ruffo stessi. Colui che visita oggi questo fabbricato nota che la parte sotterranea è quasi intatta ed ha una lunghezza di circa cento metri ed una larghezza di quindici metri; c'è un ampio salone con una nicchia dove, una volta, doveva esserci una fontana; stipi a muro e grandi anfore interrate si possono ancora notare; v'erano due passaggi segreti ed ancora in parte si possono esplorare: uno univa la dimora dei Ruffo con il vecchio Castello di Sinopoli (Inferiore), l'altro dallo stesso « palazzu » portava sotto il ponte, della stessa epoca e forse più antico, della strada comunale tra « Madama » e « Guarnaccia », e precisamente nei « Trappiti Vecchi ». Al piano della esistente strada comunale v'è il portone centrale del descritto « palazzu »; è veramente imponente con un basamento e arco grandioso in granito verdastro. Sopra l'arcata di detto portone e sotto le cariatidi del cornicione esisteva uno stemma colossale della famiglia Ruffo, scomparso o trafugato da vandali durante la seconda guerra mondiale. La parte interna è sul tipo medioevale e dalla qualità del materiale usato si desume che la detta costruzione è stata fatta in diverse epoche. I vari cataclismi che seguirono a tale epoca hanno fatto scomparire quanto assolutamente e logicamente era stato fatto in profondità dove oggi, almeno in superficie non v'è altro che terreni coltivati ad ortaggio. Quanto sopra descritto oggi è in parte proprietà privata ed in parte demanio del comune di Sinopoli. In questo periodo di pace e di operosità, aumenta anche la popolazione; ed infatti la tassa dei «fuochi » rispecchia le famiglie di allora che erano:

Fuochi

1532       n. 197

1545       n.305

1565      n.444

1595     n. 573

Ma questo benessere fu di nuovo insidiato dalle incursioni dei Saraceni e dei Germani finche' Paolo Ruffo riuscì a respingere a Reggio l'invasione turca, permettendo così ad Andrea Doria di inseguire i Turchi e distruggerli completamente nei pressi di Tunisi. Per questa impresa al successore di Paolo, Fabrizio, Conte di Sinopoli, venne dato il titolo di Principe di Scilla con decreto del 31 agosto 1581. La potenza dei Ruffo e della Contea di Sinopoli cresce a dismisura, e ciò è dovuto al fatto che i Ruffo hanno come amministratori delle loro terre intelligenti ed abili sinopolesi. In questo periodo di splendore per la Contea v'è anche un certo benessere tra le popolazioni in continuo aumento e sviluppo; molti conventi, sorti durante il periodo di Ruggero, ricominciarono ad emanare e far risplendere la luce della verità cristiana; Sinopoli, epicentro storico ed economico per secoli, divenne anche centro religioso. Infatti, è di questa epoca la Madonna della Neve che si trova nella Chiesa della Madonna delle Grazie in Sinopoli Superiore: la statua rappresenta la Madonna col bambino e alla base porta in lettere romane eleganti l'iscrizione:

« DO IOANN RUFFUCONTI DI SINOPULI ET BURRELLO MI FICHI FARI»

e una data

« 1508 ».

Il busto e la basetta, ricavati da un unico blocco di marmo bianco, misurato m. 0,97 di altezza. La Vergine sorregge con ambo le mani il bimbo, ravvolto in un panno, che poggia al suo seno la manina destra che impugna un pomo ed appoggia dolcemente sulla spalla destra della mamma la testina ricciuta. L'ovale del volto della Madonna è perfetto, gli occhi sono quasi socchiusi, l'espressione è soavissima. « L'opera, finemente lavorata, ha impronta della prima fase d'arte di Antonello Gagini ». In realta' il 1508 segna l'anno ultimo nel quale Antonello Gagini dimorò a Messina. Questa Madonna, « detta del Pilerio » secondo Antonio Basile, è sull'altare di fondo della navata sinistra. Alla base di questa statua, dichiarata monumento nazionale, v'è lo stemma dei Ruffo, nel quale figurano 5 colli e 3 stelle, una corona comitale con testina di cavallo; tale stemma è riprodotto in marmo nel paliotto dell'altare maggiore fittamente decorato a tarsie policrome; detto altare è stato donato alla Chiesa della Madonna delle Grazie dall'ultimo lontano discendente dei Ruffo vivente a Sinopoli fino ad alcuni anni orsono. Altra Statua di pregiato valore si trova in Sinopoli Inferiore nella Chiesa Parrocchiale. Detta Statua è da attribuire, in base ai caratteri stilistici a Domenico Mazzolo, raffigura la Madonna delle Grazie, è alta m. 1,40; su uno scannello poligonale alto m. 0,23, è elegantissima. Il bel corpo solido poggia maggiormente sulla gamba destra. La sinistra sporge avanti col piede appoggiato su una specie di cuscinetto. La Vergine, col corpo armoniosamente coperto da un velo, regge con la mano sinistra un bimbo paffuto nudo benedicente, orrendamente mutilato (manca la gambetta sinistra). Un sorriso spirituale sfiora le labbra della bella immagine che sembra pudicamente nascondere con la destra la mammella. Lo scannello porta nel riquadro centrale uno stemma cinquecentesco elegantissimo, mentre gli altri due pannelli rappresentano un Angelo Annunziatore a sinistra e la Vergine Inginocchiata a destra. In un altro riquadro dello scannello vi è un'iscrizione:

«N. D. ANTONINUS ARGIRÒ HANC IMAGINEM FIERI MORIENS LEGAVIT QUOD N. EGISMONDUS BIELATI ADIMPLEVIT ANNO D. N. I., 1547 ».

(Il nobile Signore Antonino Argirò morendo lasciò in legato che fosse fatta questa immagine, legato che il nobile Egismondo Bielati curò di adempiere nell'anno del Signore 1547). Ed ancora la Chiesa della Madonna delle Grazie in Sinopoli Nuovo, certamente dello stesso periodo, conserva sull'altare maggiore un altro notevole « pezzo » del Rinascimento (monumento nazionale): un ciborio in marmo in due pezzi con bassorilievi. Nella parte inferiore (cn. 0,72 x 0,58) sono raffigurati due angeli di profilo in preghiera ai lati del portello. Esso è sormontato da una « lunetta » (m. 0,38 x 0,38) con la figura del Cristo risorto, barbuto, che regge col braccio sinistro la croce e alza ad angolo il destro piegato e benedicente. La mano, danneggiata ,aveva visibilmente le tre dita (il pollice, l'indice e il medio) aperte a benedire. Si attribuisce la custodia ad Antonello Gagini, ma senza alcun fondamento. Più generalmente il Frangipane nel suo elenco degli Oggetti d'arte in Calabria lo definisce un lavoro del secolo XVI Ma, secondo il Basile, i caratteri anatomici del Cristo, che rifanno in piccolo un rilievo del Museo Nazionale di Messina, proveniente dalla chiesa di Sant'Agostino ed attribuito al Montersoli, e i caratteri stilistici della composizione, che rimandano al Cristo dell'altare di Santa Maria dei Servi di Bologna ed al suo ciborio, opera del frate fiorentino, scolaro del Michelangelo, fanno attribuire al Montersoli, il quale lavorò a Messina dal 1547 al 1557, la custodia dell'insigne Colegiata di Sinopoli. Inoltre, una Statua di S. Nicola di Bari, scolpita in marmo bianco, quasi a mezzo tondo (destinata ad una nicchia), figura in piedi con piviale arabescato e mitra, braccio destro sollevato con mano, benedicente munita di guanto episcopale. Alta m. 1,65, Scannello marmoreo alto m. 0,22 x 0,40 senza rilievi. Poche mutilazioni: mancano tre dita della mano destra. Bottega d'arte statuaria del secolo XVI. Infine: « S. Antonio di Padova, statua di marmo bianco su scannello (unico blocco); a tutto tondo; figura intera in piedi del Santo che sorregge col braccio sinistro un putto in piedi sul libro aperto. Altezza m. 1,50 x 0,28. Data a scalpello su base: 1634. Bottega ritardataria su modelli del Cinquecento progredito », e « l'Immacolata, statua scolpita in marmo bianco, di proporzioni maggiori dal vero (alt. 1,80). Movenza e modellato risentono già del barocco. Si trova sull'altare maggiore. La figura della Vergine poggia sopra una mezza luna, rilevata nel blocco di base. Quasi tutte le dita delle mani sono mutilate. Bottega di scultore meridionale del secolo XVII. Tutte queste statue erano di proprietà dell'antica parrocchia di Sinopoli Inferiore « S. Giorgio », come ho potuto rilevare e decifrare da un documento esistente nella stessa parrocchia, dove si trovano ancora Oggi solamente la Madonna delle Grazie, S. Nicola di Bari, S. Antonio di Padova e l'Immacolata.

 

Sinopoli faro di cultura

In questo secolo emergono insigni uomini: giuristi, economisti, teologi, medici e persino santi. Ed ecco quanto il Fiore ci dice:

« Beato da Sinopoli fu l'uno de' più santi religiosi, quali avessero avuto gli osservanti nel principio della loro nascita. Entrato nell'Ordine dei Frati Minori tosto divenne un grande specchio di santità, e perciò carissimo ai secolari, ed a, Frati, singolarmente a S. Bernardino il quale considerando in lui la candidezza dell'animo, se lo tolse suo compagno; e salito poi egli al supremo grado della Riforma, mandò suo vicario in Calabria Fra' Paolo, con facoltà di riceversi li Monasteri stabiliti nell'indulto dell'Apostolica Sede, ed edificarne altri di nuovo; fé l'uno e l'altro; poche' e ricevé gli uni ed edificò gli altri; cioè di Reggio, di Sinopoli, di Seminara, di Taurianova, di Nicotera, singolarmente quel di Catanzaro, dove gli occorse quel tanto io scrivo altrove. Fu uomo di grande orazione, nella quale spendeva quanto di tempo, sì di notte, si' di giorno gli sopravanzava dall'altre cure. Ardentissimo nella devozione della Vergine, qual di continuo avea nella lingua; onde risplendé con la gloria di molti miracoli, e prima, e dopo la morte, quale seguì in età assai vecchia nella città di Nicotera »

Ed ancora il Giustiniani:

« Si dice essere stato educato in questo paese S. Filareto, ma non evvi memoria in quali delle sue parti »

L'intelligenza ed il saper fare dei Ruffo e dei suoi collaboratori apportano nel popolo del contado « che avea quattro villaggi: S. Eufemia, S. Procopio, Acquaro e Madonna » un benessere materiale e spirituale: Fabrizio Ruffo può comprare per centomila ducati da Scipione Spinelli, il Duca di Seminara, la terra della stessa Seminara con i suoi casali di Palmi e S. Andrea. Ma i cittadini di Seminara indignati da tale vendita si uniscono concordi e tengono a Seminara un parlamento che decide di raccogliere i centomila ducati e restituirli al Conte di Sinopoli e per non perdere le terre e per non sottostare al potere assolutistico dei Conti di Sinopoli. E poiché Seminara ed i suoi casali di Palmi avevano la prerogativa di essere di regio demanio, ottennero la restituzione delle terre ,versando Seminara 75 mila ducati e Palmi 25 mila ducati presso i pubblici banchieri Calamanza e Ponte Corbi. In questo periodo nel campo delle lettere si affermò in Sinopoli Greco Nicola Carbone, le cui molte opere filosofiche, dottrinarie e letterarie furono pubblicate a Venezia nel 1510 l'opera principale di questo grande sinopolese è: la « Praxes praticarum ». Come dicevamo, tra la popolazione sinopolese emergono dei grandi uomini, tant'è vero che i Ruffo allargano la loro parentela con uomini di Sinopoli al punto che Laura Ruffo nipote del Conte di Sinopoli Carlo, sposa un certo Giovanni Migliorini di Sinopoli e, come ho potuto rilevare dall'atto esistente all'archivio di Stato di Napoli, ebbe in dote quanto segue:

«locum unum nominatum lo Jardinello. Feriam seu Nundinas, S. Nicola. Item terram unam nominatam la Vigna Negra sita et posita bona ipsa feudalia in portinentis, et districtu dietae terrae Sinopolis iuxta eorum fines, etiam sibi dedit in dotem bona stabilia, et burgensatica quae fuerunt cuiusdam Andreae de Diano posita in eadem terram nominatam de Adorna, de qua quidem donationem in dotem supra dietorum bonorum tam feudalium, quam burgensaticorum costat publico istrumento omni qua dicet sollenitate vallato facto, seu fieri rogato per manus Colucii de Rimaris de terra Burelli regia auctoritate per totum Regnum publici notarii olim die IV aprilis VII Ind. 1504 ».

E' questo il secolo di maggiore splendore per Sinopoli. Vincenzo Ruffo nel 1595 fondò in Sinopoli il Monastero dei Minimi che si aggiunge a quello già esistente dei Minori Osservanti e del più antico dei conventuali; la parrocchia venne dedicata a S. Giorgio nel Sinodo Lateranense del 1559. Sempre in questo periodo in Sinopoli Greco, villaggio più antico di Sinopoli, sorge la chiesa parrocchiale sotto il titolo di S. Filippo d'Angiò. « Si fa menzione nella vita di S. Fantino scritta da Pietro di Tauriana, essendo stato questo Santo qui nell'ordine Basiliano ». La Chiesa di S. Maria della Pietà fu sottoposta a Laterano nel 1599. Dalla fine del 1500 e precisamente dal periodo che va dal1580 al 1626, Sinopoli fu travagliato da tremende carestie, da alluvioni e da calamità di ogni genere; la popolazione per un trentennio circa diminuisce, per aumentare poi nel 1595, nel 1648 e poi nel 1669 a Fuochi 654. Con Paolo Ruffo prima e dopo con il figlio Fabrizio la Contea di Sinopoli si ingrandisce ma, ad opera della nipote di Fabrizio a nome Giovanna, donna molto pia e caritatevole, Sinopoli e Scilla si adornano di grandi opere. Anche se il « palazzu » non è stato mai abitato dai Ruffo, perché hanno pensato, da ottimi amministratori, di fortificare il Castello di Scilla e trasferirsi in esso, in Sinopoli fiorirono opere religiose; abbiamo detto che una Ruffo sposò un Migliorini; così vengono edificate sotto il loro patrocinato le chiese di S. Cristofaro, S. Onofrio e S. Rocco. Ed ancora, dopo l'apparizione della Madonna e sotto Giovanna Ruffo ha inizio la costruzione, ad opera dei basiliani, nel villagio « madonna » (oggi Sinopoli Superiore) di un grande convento. In questo periodo, e precisamente il 18 maggio 1670, per bolla di Clemente X, la nostra chiesa, « fu decorata a insigne Collegiata a guisa di Messina e di Palermo, « instar Messanae et Panormi », col diritto dei Principi di Scilla a conferirne i benefici ai tredici tra Dignità e Canonici, oltre sei Cappellani ». Questo Convento fu poi abbandonato dai Basiliani e come dice il Taccone: Il Convento dei Riformati, passato quindi ai frati Ospedalieri di S. Giovanni di Dio, presso Sinopoli, fu stabilito sotto il titolo di S. Pasquale nell'anno 1738; in seguito fu dato agli Agostiniani Ospedali e poi ai frati di S. Giovanni di Dio. Soppresso, nel periodo del dominio francese, con decreto del 30 novembre 1808. Esiste ancora in un punto veramente stupendo, in Sinopoli Superiore, la chiesa detta di S. Giovanni di Dio; si può osservare quasi intatta la planimetria e l'altezza di detta chiesa con il prospetto avente un grande portone centrale con ai lati due icone con archi di pietra siracusana. Tutto intorno, dove sorgeva il convento, vi sono mura grandiose; oggi v'è un campo sportivo e la sua grandezza è uguale alla grandezza del sottostante convento; si accede al piano del campo, ossia del vecchio convento dalla stessa strada e dallo stesso ingresso del Convento. Tale opera devastatrice è avvenuta circa trenta anni fa. Nello stesso ripiano v'è anche una fontana con acqua veramente salutare. Tutto il terreno intorno al Convento e alla Chiesa, compreso il piazzale di fronte alla stessa, è coltivato ad ortaggi; una parte di proprieta' è privata ed una parte, compresi i diroccati fabbricati, è demanio del Comune di Sinopoli. Il tutto trovasi in una collina ancora denominata « Frà Gianni » che domina, oltre che il paese di Sinopoli, tutta la piana fino al mare. Anni fa questa panoramica veduta è stata deturpata da una costruzione adibita come stabilimento per la estrazione dell'olio dalla sansa vergine.

 

Dallo splendore al dolore.

Nel 1636 Sinopoli cambia sia nell'aspetto politico che in quello religioso; una terribile epidemia colpisce la Calabria Ulteriore, ed in particolar modo Sinopoli ed i suoi casali, e l'uomo, colpito dal misterioso male, come dice lo Spolani, «non riesce ad avere lo spazio di acconciarsi dell'anima e prendere l'ultimo commiato da noi ». Dalla vita si passava alla morte, spuntava l'alba senza avere la possibilità di vedere il tramonto, tutto era pianto e dolore, la psicosi della fine era subentrata in ogni essere umano; l'uomo era quasi annientato; sembrava che le forze malefiche della natura fossero contro di lui; soprusi, ambizioni, tradimenti, uccisioni si susseguivano incessanti; non più sacra l'ospitalità, il fratello aveva paura del proprio fratello, tra le strette e tortuose vie della nostra Sinopoli, ai primi chiarori dell'alba, rischiarata dai raggi dorati del sole, luccicava per terra sangue tra le nere tenebre della notte. Il brigantaggio, sempre con culla ed epicentro nel nostro Aspromonte, imperava, comandava, eseguiva gli ordini del maggiore offerente. Forte il Conte, forti chi gli stava vicino e così quel servo e cortigiano strisciando come verme e servizievole come schiavo, spoglio di ogni umana personalità, pur di essere in grazia del suo signore, diviene galantuomo e poi... ed oggi, osa ancora definirsi nobile: ma quale nobiltà vi può essere in un uomo scaturito in siffatto modo? In tutto questo marasma, in tutta questa metamorfosi della natura e dell’umanità', una sola cosa si ingigantisce nell'animo e nel profondo del cuore del nostro popolo, povero e schiavo: la fede in Cristo e nelle sue cose. Sì la fede, questa fede che sempre ci aiuta e ci consola, questa fede che ci rischiara la vita nei momenti tristi della nostra vita e ci tende rassegnati a subire, a soffrire nella speranza della redenzione divina e soprannaturale, se non umana e terrena. Ed in questa fede che il popolo Sinopolese pone la sua speranza in un domani migliore. Solo il miracolo può arrestare tutti i mali che affliggono questo popolo martoriato, e il miracolo si manifesta in modo veramente prodigioso.

 

La Madonna.

Siamo nell'anno 1636. Quella chiesetta, posta all'alto di una collina verdeggiante, come a proteggere la nostra Sinopoli. Il popolo aveva messo da parte ogni devozione per l'icona di quella Madonna; quella chiesetta era divenuta rifugio dei pastori con le loro greggi; quella chiesetta, in verità, simboleggiava la speranza, la vita, il futuro e l'avvenire di un popolo. Successe che un uomo, di nome Giovanni Scarcella, ultranovantenne, nativo di Santa Giorgia ma residente a S. Eufemia, passando davanti a quella chiesetta e vedendola così malridotta cercò di ripulirla. Però, prima di scopare la chiesetta, il vecchio si chinò a venerare l'Icona dì Maria e improvvisamente vide una Donna Maestosa invitarlo a pulire il Santo luogo; il buon vecchio si precipitò ad ubbidire, ma trovò la chiesa già pulita e sentì la Donna dire: « Orsù Giovanni, io sono la Regina dei Cieli, va per questi villaggi e fa loro sapere che vengano a venerarmi in questo luogo e che io sarò liberale con loro. La penuria di pane scomparirà e per mia intercessione abbonderanno i viveri » Il pio vecchio si affrettò a ripetere a tutti ciò che gli era successo e in pochi giorni la notizia si divulgò in tutto il Regno di Napoli. Tutto questo successe sotto il regno di Filippo IV e la Famiglia Ruffo, colpita dall'apparizione di questa Madonna e vedendo il popolo devoto e attratto irresistibilmente a Lei, ed essendo la Chiesa dedicata nel lontano passato alla « Madonna del Beneficio »; La fece consacrare alla Vergine col titolo di « Madonna della Rende », ma subito dopo la Madonna parlò allo Scarcella dicendo di voler essere chiamata « Madonna della Grazie » A questo punto trascrivo integralmente quanto ho letto nell'opera di un illustre storico: « La famiglia Ruffo, la quale nelle grandezze della terra sempre ritenne la pieta' del Cielo, fra le molte opere della Religione, fondò non lungi da Sinopoli, ove con titolo di Contea abitò molti secoli, un jus patronato d'annovali scudi seicento di rendita, consacrando la Chiesa Beneficio alla Vergine col titolo di Renda. Passata poi questa famiglia in Sicilia in qualità di principe, restò la Chiesa alla cura del suo Parroco, ma talmente mal servita che aperta, e di notte, e di giorno era divenuta, per così dire, stalla di animali. Eravi per altre una Icona assai bella di Maria col Figliolino in braccio in atto di baciarlo, di guardatura dolce. Intanto avvenne che un uomo molto da bene per nome Giovanni della terra poco distante di Santa Giorgia, ma abitante in Santa Eufemia, il quale oltre scorso nell'età di anni 90, non avendo cosa alcuna che vivere, né potendo per la vecchiaia procacciarsela col travaglio, chiedeva nella pietà de' fedeli. Lo ritrovava volentieri, perché oltre quella sua venerabile canizie, era uomo di molte virtù, sollecito all'orazione, caritatevole cogli gli altri poveri, e sopra tutto ardentissimo nell'amore della Vergine. In passando adunque davanti a quella Chiesa, e veggendola così mal condizionata, ferito perciò altamente nel suo cuore, si rispose volerla servire egli medesimo, almeno con chiuderle, ed aprirle le porte, perché doppiamente non la sordidassero gli animali, e coll'abitazione, e con l'immondezze. Un di' del mese di settembre dell'anno 1636, mentre il buon vecchio era ito a scopare la Santa Casa, entrato dentro, volle prima prostrato a terra adorare la venerabile immagine, l'adorò, ma in questo mentre vidde una tal Maestosa Dama con in mano una scopa, qual chiamandolo per nome l'invitò a spazzar seco la Chiesa. Pronto accorse Giovanni, ma ritrovolla di già spazzata. Orsù, disse allora la nobile Matrona, io, Giovanni, sono la Regina de' Cieli, vattene attorno per quelli villaggi, e fa loro intendere, che venghino a riverirmi in questo luogo, saprò ben io essere con esso loro liberale. Non vedi tu la gran penuria di frumenti? Congettura infallibile d'una crudelissima futura fame; per mia intercessione abbonderanno i viveri, con minorità di prezzo e farà la primiera delle grazie, quali io compatirò a quelli popoli. Così disse la Vergine, così ridisse Giovanni a tutti; ed avvenne sì, che, nel breve periodo di pochi giorni se ne divulgò la fama in ambedue li Regni di Napoli e di Sicilia. Perciò in seguito si videro le processioni delle genti a visitare quella Santa Chiesa; e così le suppliche un'infinità di grazie di ogni qualunque mano; onde smarrita l'antica nominanza di Renda, si disse delle Grazie. Con le grazie si ricevettero l'elemosine a proporzione, e per liberalità de' concorrenti, e per l'adempimento de' voti, lampadi, calici d'oro, e d'argento, paramenti di qualunque drappo, gioie, catene, perle, dinari, cere; essi fe conto, che in un solo anno si introitò il valore di scudi trentamila. Quindi principiata una superba fabbrica all'intorno della vecchia, quale rimase chiusa nel dentro, oggidì è una delle migliori Chiese della Calabria. Stabilitasene la festa gli 8 settembre, sono meravigliosi li concorsi, dell'una e dell'altra Sicilia, sì per conto della devozione, sì per conto della fiera già introdotta. Scrisse di questo argomento in ottava rima Siciliana D. Vito Antonio Ungaro da Melicuccà, dal quale si è tratto quanto di sopra dalli miracoli in poi, la lettura de' quali la rimetto alla suddetta composizioncella » La Madonna dell'icona era dipinta su tela attaccata ad una tavola di grosso spessore, di natura e qualità imprecisata, « raffigurava la Madonna col Bambino, di cui si vedevano i volti e poche altre tracce. Sull'altare maggiore m. 1,70 x 0,70. Opera quattrocentesca, purtroppo quasi perduta ». Detta « ICONA », secondo illustri studiosi esisteva « anche prima del secolo XII, si vuole pittura orientale della scuola di S. Luca ». I doni ed i voti per tale immagine furono immensi; ed infatti nella Chiesa Collegiata di Sinopoli Superiore, dedicata alla Madonna delle Grazie, sono conservate gelosamente i seguenti paramenti; « Piviale rosso, di tessuto in seta rosso e giallo con ricco motivo secentesco. Sul cappuccio, ricamo con iscrizione: Varapodi, 1638. In buono stato » « Parato bianco nobile, in raso bianco con ricami finissimi in oro e seta a colori; girali delicati con fiori, specialmente convolvoli violacei e rose. In tre, complete, con piviale. Stemmi dei Principi Ruffo di Sinopoli e di Scilla, donatori. Lavoro probabilmente del secolo XVI ».

 

Decadenza dei Ruffo e di Sinopoli.

Finito il dominio Spagnolo e dopo che i Ruffo si erano ormai trasferiti definitivamente a Scilla, come si legge ancora oggi sul portone all'ingresso del Castello:

AD FIDEITATE CAESARI

SERVANDUM

PAULUS RUFUS SINOPOLIS COMES

HANC ARCE SUO PARTAM LABORE

EXAEDIPICAVIT ET FILIO IBIDEM TUENDAM

RELIQUIT ANNO MDXLIII,

incomincia, con la cessione del regno di Napoli agli Austriaci, sotto Guglielmo Ruffo la decadenza della famiglia Ruffo. Quasi tutti i possedimenti della Contea di Sinopoli e del Principato di Scilla furono presidiati da soldati austriaci per paura che gli spagnoli tornassero alla conquista del regno; purtroppo i Ruffo dovettero subire tale sorveglianza. Ma ben presto di Austriaci furono cacciati e accolti a Favazzina festosamente gli Spagnoli. Ecco che nel 1743 con la venuta degli Spagnoli arriva anche il terribile morbo della peste, ma per predizione della « Madonna delle Grazie » Sinopoli non ha vittime, ragion per cui viene completata e finita la chiesa, in onore di S. Rocco, protettore degli appestati. Per circa venti anni, ineluttabilmente la famiglia Ruffo continua a perdere di prestigio, di ricchezza, di forza. Quegli schiavi, quegli artigiani e servi alle sue dipendenze incominciarono ad essere altezzosi ed inutile si rivela il tentativo del feudatario di impinguare le sue casse imponendo gravose tasse al popolo. Ormai è la fine, il terremoto distrugge quasi tutto e tutti, trasforma con la sua potenza soprannaturale la crosta terrestre, cancella quanto l'opera umana aveva fatto in anni di incessante operosità. Il 5 febbraio 1783, mercoledì all'una di pomeriggio avvenne un tremoto che scombussolò tutta la Calabria e distrusse Sinopoli in modo che i sinopolesi si trasferirono da Sinopoli, del quale abbiamo sempre parlato, al villaggio « Madonna » o « Case Pinte » già popolato dopo il 1636, a cui fu dato il nome di Sinopoli Superiore.

 

Il flagello: descrizione generale (terremoto del 1783)

Un grande storico del tempo, Pietro Colletta ' così scrisse:

«Il 5 febbraio 1783, mercoledì, quasi un ora dopo il mezzogiorno, si sconvolse il terreno... il terremoto durò cento secondi. Sorgevano nella piana centonove città e villaggi, stanze di centosessantamila abitatori, in meno di due minuti tutti quelli mali subissarono, con la morte di 32.000 uomini di ogni sesso ed età, ricchi e nobili più che poveri e plebe: alcuna potenza non valendo a scampare da quei subiti principi. Il suolo della piana, di sano granito dove le radici del monte si prolungano, e di terre diverse trasportate dalle acque che scendono dagli Appennini, varia di luogo in luogo per saldezza, resistenza, peso e forma. … ebbe il movimento direzioni d'ogni maniera, verticali, oscillatori, orizzontali, vorticosi, pulsanti; ed osservaronsi cagioni differenti ed opposte di rovina: una parte di città e di casa sprofondata, altra parte emersa; alberi sino alle cime ingoiati presso ad alberi sbarbicati e capovolti; e un monte aprirsi e precipitare mezzo a dritta, mezzo a sinistra dell'antica posatura; e la cresta scomparsa, perdersi nel fondo della formata valle. Si videro certe colline avvallarsi, altre correre in frana, e gli edifizi sovrapposti andare con esse, più spesso rovinando, ma pur talvolta conservandosi illesi; e non turbando il sonno degli abitatori; il terreno, fesso in più parti, formare voragini, e poco presso alzarsi a poggio. L'acqua, è raccolta in bacini o fuggente, mutare corso e stato; i fiumi adunarsi a lago e distendersi a paludi, e scomparendo, sgorgare a fiumi nuovi tra nuovi borghi e correre senza argini a nudare o isterilire fertilissimi campi. Nulla restò delle antiche forme; le terre, le città, le strade, i segni svanirono; così i cittadini andavano stupefatti come in regione peregrina e deserta. Tante opere degli uomini e della natura, nel cammino dei secoli composte, e forse qualche fiume e rupe eterna, un solo istante disfece. La pian fu dunque il centro del primo tremuoto; ma per la descritta difformità del suolo vedevi talora paesi lontani da quel mezzo più guasti dei vicini. Alla mezzanotte del medesimo dì vi fu nuova scossa, forte pur essa, ma non crudele quanto la prima; perciocché le genti, avvisate dal pericolo e già prive di case e di ricovero stavano attonite ed affannose allo scoperto. Si accumularono nuove e vecchie ruine. Ma il 28 di marzo di quell'anno medesimo, alla seconda ora di notte, fu inteso rumor cupo come rombo pieno e prolungato: e quindi moto grande di terra. Il tremuoto durò novanta secondi i tremuoti durarono sempre forti e distruggitori, sino all'agosto di quell'anno, sette mesi: tempo infinito, perché misurato per secondi. I turbini, le tempeste, i fuochi de' vulcani e degli incendi, le piogge, i venti, i fulmini accompagnavano i tremuoti: tutte le forze della natura erano commosse; pareva che, i legami di lei, quale fosse l'era novissima de cose ordinate …>>.

 

Nascita di Sinopoli Superiore.

Dopo questi funesti eventi, gran parte della popolazione di Sinopoli Inferiore, come dicevamo, si trasferiva in contrada « Case Pinte » o « Madonna », formando così l'attuale Sinopoli Superiore. Intanto la famiglia Ruffo, già trasferitasi a Scilla venne completamente distrutta dal maremoto, riuscendo a sopravvivere solamente Francesco Maria Fulco Ruffo. Già da alcuni decenni essa aveva perduto l'antico prestigio e potenza, perché in Sinopoli si sviluppava sempre più il ceto medio dei possidenti che gia' nel 1734 era consistente. Infatti nell'Archivio di Stato di Napoli sono conservati un volume dei censi per Sinopoli del secolo XVI e la stima universale, delle terre di Sinopoli del 1734. Mentre nel secolo XVI la terra era quasi esclusivamente in mano dei Ruffo, nel 1734 si era creato un forte nucleo di possidenti: « Copia della stima universale della terra di Sinopoli fatta in agosto 1734. Deputati i Magnifici D. Antonio Carbone, e D. Salvatore Ruffo; scrivono M.stro Rocco Migliardi e Raimondo Collo..., stimatori Ambrogio Fedele di on …… Giuseppe Rognetta e Giovanni Caruso. Fatta a 24 novembre 1734 » Tra i nomi dei possidenti troviamo: Papalia, Labbozzetta, Ventra, Rugari, Surace, Creazzo, Vitalone, Migliardi, Tripodi, Carbone, Rositani, Trimarchi, Tripepi, Caruso ecc. ecc. Comunque i Ruffo non sono più padroni dell'economia locale, anzi tendono sempre più a decadere come potenza. Si trasferisce pure nell'attuale Sinopoli l'Università (Municipio) e il Comitato e il Magistrato che rimontava all'epoca di Ferdinando IV di Aragona nel 1513, quando cioè si concedette ai Conti, per l'aumentato numero dei Baroni, una giurisdizione ed imperio. Non sembra vero, anzi incredibile, che da quei pochi muri, che ancora si vedono e che nessuno è riuscito a distruggere, come a voler testimoniare sempre la loro potenza, tra quei ruderi del vecchio Castello, rifulse il potere dello Stato Sinopolitano in tutto il Contado e nella « Terra Sinopolis », così chiamata nei libri e nei pubblici Atti. Si ha la certezza assoluta che in Sinopoli, ancora centro, funzionò l'amministrazione civile e della giustizia sin dal 1784, perché esiste una sentenza della Corte Vice Comitale dell'anno 1784, nella causa tra Rosa Cutrì ed altri di S. Eufemia, confirmata dal magistrato di Appello 41. Catanzaro. L'anno 1806 segna per sempre la fine del feudalesimo e la seguente scomparsa dei Ruffo, con la legge del 20 maggio 1808 tutti i diritti rientrano in mano al Supremo Imperante. Il dominio francese apporta un capovolgimento radicale e totale nella nostra società, ma Sinopoli rimane lo stesso il Capoluogo di Circondano con in sede un Magistrato; decreto questo firmato a Parigi il 4 maggio 1811, tenuto conto dei voti e dei desideri espressi dalla cittadinanza e dalle autorita' locali. Con decreto del 7-7-1810 da Scilla era stato nominato per la Calabria Ulteriore l'intendente Angelo Masci, un italoalbanese attivissimo ed intransigente, il quale in brevissimo tempo e precisamente il 24 dicembre 1811 completò la divisione dei vari Comuni. E poiché il Principe Fulco Ruffo già sin dal 1805 era in serie difficoltà finanziarie con debiti nei soli feudi della Calabria di ducati 62.562,72 di cui ducati 36.961, per il solo feudo di Sinopoli, ed ancora con debiti nei feudi della Sicilia per ben ducati 51.785,38, la Commissione Feudale confiscò tutti i beni vendendoli a quei servi e possidenti alle dipendenze dei loro padroni Ruffo per somme irrisorie, avendo costoro dei crediti verso i loro signori. Accanto alle leggi eversive della feudalità, la legge Napoleonica attua la soppressione dei beni ecclesiastici e così con decreto del 30-XI-18O8 viene soppresso il monastero di San Giovanni di Dio di Sinopoli ed i beni di esso sono incamerati in parte dal Comune di Sinopoli e di S. Eufemia ed in parte anche da alcune famiglie ancora esistenti.

 

Sinopoli nel periodo della dominazione francese

Finito lo stato « eccezionale », con lo Statuto Costituzionale del Regno di Napoli e Sicilia n. 148 - Baiona 20 giugno 1808 dello stesso Giuseppe Napoleone, dato ai popoli del Regno con proclama suddetto luogo - 23 dello stesso anno - fu stabilita l'amministrazione della giustizia con diritto ad una guarnigione di soldati francesi, ragion per cui in Sinopoli vi furono circa trecento uomini francesi per attuare e far rispettare la legge, ma, come spesso accade, forse perché aizzati dai nuovi signorotti, questi gendarmi commisero delle atrocità verso i privilegiati del Feudatario ed in particolar modo contro i monaci di San Giovanni di Dio, tant'è vero che ancora oggi si racconta che alcuni monaci legati alla coda di cavalli furono trascinati per le vie del paese. Il Monastero di San Giovanni di Dio, delle cui origini abbiamo già parlato, aveva una rendita di 900 ducati e funzionava come piccolo ospedale, ma l'ira del popolo, in verità tenuto oppresso per secoli, nulla guardò, tutto distrusse conquistando la libertà anche se non completa ed in tutta la sua pienezza. Ed ancora, nel periodo Napoleonico, vediamo che con decreto di Murat, dato a Scilla il 4-5-1808, la spesa per il prosciugamento delle paludi formatesi in seguito dal terremoto del 1783 e, per quanto riguarda Sinopoli, per il prosciugamento della contrada « Lago » vicino Sinopoli Vecchio ove venne edificato un tunnel per lo sfogo delle acque, la spesa doveva essere integrata con la vendita dei terreni prosciugati. In tale periodo una piaga si verificò fortemente nelle nostre contrade: il brigantaggio. Murat cercò di sopprimerlo dando poteri assoluti al generale Carlo Manhes, il quale agì molto energicamente per sradicare questo male di ogni tempo. Purtroppo come sempre accade patirono pure degli innocenti, poiché bastava un lieve sospetto perché chiunque venisse giustiziato con procedura sommaria. Ed ecco uno dei tanti episodi avvenuto in questo periodo: « Niuna città, nessun cammino sicuro. I corrieri, gli uffiziali provveditori viaggiar dovevano colla scorta d'intieri battaglioni, ma ciò non'ostante, spesso avveniva, che oltrepassate le guide e le scorte, sbucavano i nemici ed i corrieri svaligiavano, le lettere disperdevano, ed i dispacci del governo inviavano in Sicilia. Infinita sarebbe la serie dei fatti di tal genere, che potrebbe narrarsi, gran parte dei quali accaduti in questa estrema nostra Calabria. Siccome gli amici dei Francesi studiavano di rendere loro i migliori servigi, sorvegliando tutte le mosse dei Borbonici, così costoro tenevano avvisati i Reali di Sicilia di quanto qui accadeva, e di la' ricevevano speranze ed incoraggiamenti. Primo di siffatti maneggi era il noto Carbone, il quale ridottosi a Messina e godendo la fiducia e la protezione della Corte di Palermo e della podestà inglese nell'isola, eccitava, istigava, comandava i suoi agenti i Calabresi, ed al lui va addebitato l'atroce prolungamento della sollevazione in questi nostri luoghi. Ebbe essa anzi allora un periodo più spiccato di guerra civile perché le bande si gettavano sopra i vari paesi a vendetta degli eccidi sofferti nella loro fuga dopo la battaglia di Mileto, o per altre cagioni. Uno di questi fu Sinopoli, paese sito alla falda dell'Aspromonte vicino a S. Eufemia. Giuseppe Monteleone e Francesco Mosca, cioè i famigerati ribaldi, RONCA e BIZZARO, ad istigazione, come si credette, del Carbone, - cupido di vendicare l'oscena beffa fatta nell'ultimo carnovale da brilli giovinastri alla sua cognata Lucrezia Ruffo, con avere appiccata penduta una testa di montone alla casa di lei, - radunata grossa masnada in S. Eufemia, corsero sovra Sinopoli nella notte del 30 agosto 1808, ov’altro non era che il debole presidio di soli venticinque soldati francesi sotto un ufficiate Corneille. Svegliatesi costui dal rumore non osò uscire allo aperto, ma messi i suoi nelle case riguardanti la parte superiore del paese, donde era solo facile poter penetrare, si tenne alla difesa da dentro, ordinando allo stesso modo agli abitanti. Assaliti furiosamente le case la dimane del 31, e dato il fuoco in diversi punti, e specialmente alla Chiesa di S. Rocco fu opposta disperata resistenza. Avevano i sollevati bloccato la borgata, ma un arditissimo bifolco, Rocco Trimarchi, slanciandosi fuori a tutta corsa, riuscì nonostante che ferito a salvarsi, ed a volare a Seminara per avvertire il colonnello Langeron. Questo sorpreso nell'audacia degli insorti, spiccò subito dugendo soldati con un uffiziale, La Rue, per salvare dalla temuta strage sinopalitani e francesi. La Rue camminò di gran passo per giungere alla sprovvista, ma non riuscì perché il Ronca previsto l'arrivo dei francesi, e avvertito da Seminara, com'altri assevera,. toltosi prestamente da Sinopoli, volse altrove trascinandosi apresso alquanti feriti. La Rue non avendo trovato i nemici, privò del comando Corneille, che mandò a Cosenza, e provveduto all'occorrevole in Sinopoli, tornò celeremente in Seminara, richiamato da Langeron, il quale temeva qualche sorpresa in Palme, ov'era anche scarso il presidio francese. Mal riuscito a Sinopoli, il Ronca coi suoi si diresse a Bianco, avido di vendetta e preda ». Tramontato l'astro Napoleonico e finito miseramente Gioacchino Murat che con i suoi decreti e le sue leggi aveva fatto tanto bene alla nostra Sinopoli, ad opera del Congresso di Vienna, per il principio di legittimità, tornarono i Borboni nel Regno di Napoli.

 

Sinopoli e le società segrete

Ed ecco che in Sinopoli incominciò a fiorire segretemente la Carboneria e la Massoneria dopo l'insuccesso dei moti del 1820, Sinopoli, ad opera di intellettuali del tempo, diviene uno dei centri di attivita' segreta unitamente ed in continuo contatto con Delianova, Santo Stefano e Reggio. Fu, per molti anni dopo i moti del 20, grande Oriente l'egregio Avv. Basile Ferdinando e le riunioni segrete furono tenute nelle casa colonica del giardino S. Maria dell'Avv. Papalia Pietro, Tenente dei Militi e Governatore a Platì. Nel 1847 si formò il Governo provvisorio in casa del Sig. Rocco Trirnarchi, il quale anche posteriormente protesse, compromettendo la propria vita, noti liberali perseguitati e condannati a morte dal Governo Borbonico. Nei moti del 2 settembre 1847 molte famiglie Sinopolesi diedero il loro contributo all'ara espiatoria della tirannide Borbonica e fra tutti, meritano di essere ricordati i nomi del Dott. Antonino Nicolò, condannato, dietro requisitoria di morte, a 20 anni di lavori forzati e che dopo 10 anni di espiazione dovette andare in esilio fuori del Regno, di Avati Giuseppe Presidente del Tribunale Civile di Catanzaro, poi Consigliere di quella Corte, di Rositani Pasquale fu Francesco, di Migliardi Giovanni e Rocco fu Fortunato, di Carbone Ottaviano e Gaetano, di Mangraviti Pasquale, i quali poiché appartenenti alla Carboneria e per il loro valido contributo dato all'unità d'Italia, quasi tutti viventi nell'anno 1890 godevano di una pensione come perseguitati politici. Ma non tutti i Sinopolesi presero parte all'insurrezione, poiché il giudice Borbonico seppe abilmente attirare nella sua orbita molti signorotti improntati d'allora, facendo condannare e deportare a Favignana i vari assertori del liberalismo; questo Giudice « accorto e furbo comprò con vile denaro quegli uomini traditori dei Ruffo prima e del liberalismo poi.

 

Giuseppe Garibaldi e l'episodio d'Aspromonte.

Tutti gli statarelli d'Italia erano in fermento ed aspettavano il momento della riscossa per conquistare la libertà e l'unità nazionale. Il popolo ormai conscio seguiva gli avvenimenti nazionali sulla sua fantasia un po' primitiva, simboleggiava ormai la leggendaria figura e l'eccezionale tempra dell'eroe dei due mondi per le sue gesta portentose e per il suo agire spericolato ed affascinante. Giuseppe Garibaldi dalla Sicilia passò in Calabria, sbarcò a Melito Porto Salvo nella notte tra il 18 e 19 agosto 1860 e si diresse verso Reggio, gli scontri con i soldati borbonici furono lievi; il generale continuò la sua marcia verso Scilla dove s'impadronì dei Castello dei Ruffo proseguendo la sua trionfale marcia per Favazzina e da qui verso Solano dove si scontrò ancora con i borbonici sbaragliandoli. Ormai il grande Eroe era nella via della vittoria proseguendo la sua trionfale marcia; il governo borbonico disorganizzato e scoraggiato s'arrendeva e così Garibaldi il 26 ottobre 1860 consegnava a Vittorio Emanuele l'Italia meridionale partendo per Caprera. L'unità d'Italia ormai era fatta, mancavano solo Roma e Venezia. Con la scomparsa di Cavour, il vero orditore della nuova tela dell'unità italiana, la speranza del popolo italiano d'avere Roma capitale s'affievoliva mentre cresceva il desiderio. Così i più ardenti volgevano gli occhi a chi poteva compiere una simile impresa. Giuseppe Garibaldi, avuto sentore di tale fermenta con pochi uomini, partendo dalla Sicilia, sbarcò in Calabria, la notte del. 26 agosto 1862, a Capo Spartivento e precisamente a Pietrafalcone. Da qui, pur essendo stato informato che quasi tutta la provincia era assediata da soldati governativi al comando del Generale Gialdini, all'alba si mosse da Melito verso Lazzaro Nel torrente Sant'Agata ebbe il primo scontro con i soldati subendo perdite in nomini. Non sentendo il feroce proclama di Gialdini, attraversò la fiumara di S. Nicola, s'avviò verso l'Aspromonte tormentato dalla pioggia, dalla stanchezza e dalla fame. Intanto in tutti i paesi si costituivano dei Comitati a favore dei garibaldini, mandando in rinforzo vettovagliamenti e uomini. Molti furono i volontari di Sinopoli; merita di essere ricordato la grande figura di Militano Matteo combattente patriota di rari ed onesti principi. Grande contributo diedero alla sventurata impresa garibaldina i mulattieri d'allora che rischiando la prigione seppero portare aito e sollievo al grande eroe. Purtroppo i bersaglieri al comando del maggiore Giolitti, dopo una manovra dì accerchiamento fecero fuoco su un drappolo guidato dagli ardimentosi Menotti e Corrao. Garibaldi, seduto ai piedi di un pino, in contrada Colle dei Pini, febbricitante gridò ai suoi prodi di non sparare e, in quel momento il grande eroe venne colpito da un primo colpo avversario alla coscia e un secondo gli spezzò il malleolo del piede destro. Sanguinante ed amareggiato, levandosi il cappello gridò: « Non fate fuoco, viva l'Italia ». Gli opposti schieramenti come d'incanto cessarono il fuoco e gettate le armi si abbracciarono da fratelli quali in realtà erano. Lo stesso generale Pallavicini umiliato e mortificato e a capo scoperto si chinò davanti al grande eroe che, scortato a distanza dai regi bersaglieri in barella fu trasportato a Scilla. Durante il trasporto nella capanna di massaro Vincenzo, in contrada Marchesella, il Generale dormi in un letto di paglia. Nella Melia e precisamente in piazza San Gaetano, il Generale chiese acqua ed una contadina accorse premurosa. La mesta colonna raggiunse a mezzogiorno Scilia. Qui il grande condottiero venne imbarcato con i suoi uomini, sul piroscafo « Duca di Genova » salutato da tutto il popolo al grido di Viva Garibaldi, Roma, Roma.

Contrada Colle dei Pini (Aspromonte)

Pino recintato, ai piedi del quale venne ferito Giuseppe Garibaldi

 

 

Assestamento economico e politico di Sinopoli dopo l’unità d'Italia.

Finito il malgoverno borbonico, il nostro popolo s'aspettava grandi cose dall'unione col settentrione; migliori condizioni di vita e meno tasse, ma avvenne il contrario. Il popolo del Nord era educato al liberalismo economico e così le sue industrie fecero crollare le produzioni meridionali. Scomparve in Sinopoli la diffusa industria della seta facendo cadere nella disoccupazione le filatrici e le lavoratrici della tela. La popolazione accentrata che viveva prima dai prodotti della terra, gravata dalle tasse incominciò a cercare altrove fonti di lavoro. Abbiamo così le prime numerose emigrazioni nelle Americhe, dapprima timide e sporadiche, divennero verso la fine del 1800 rilevanti. Gli uomini migliori di questa terra, senza nessuna assistenza da parte del governo, alla mercé delle agenzie di viaggio, partivano per andare in terre lontane dove li aspettava l'incognito e la incomprensione. Le vicende di Sinopoli si susseguirono incessantemente ora in bene ora in male, il paese subì verso la fine del secolo un certo disorientamento economico; ai vecchi padroni si sostituirono i nuovi signorotti, molto più esigenti dei primi perché più avidi di arricchirsi celermente. Al disorientamento politico ed economico si aggiunsero anche i tremendi terremoti del 1894, del 1905 e 1908. Ma anche se i padroni erano più numerosi di prima non si può disconoscere che negli ultimi anni del 1800, in Sinopoli vi furono professionisti di valore. Sono da ricordare gli avvo cati Lupoi Domenico fu Antonino, Galatti Francescantonio fu Pasquale, Migliorini Lucantonio fu Vincenzo, Rositani Vincenzo fu Pasquale, Papalia Pietro fu Luigi, Licastro cav. Francesco fu Saverio, Rositani Antonio Maria fu Vincenzo, Nicolò Francesco fu Giuseppe, i mcdici Pinneri Matteo, Licastro Saverio, Nicolò Antonio, Ventra Carmelo e Ventra Domenico vice direttore dei Manicomio Interprovinciale di Nocera, il farmacista Migliardi Domenicantonio professore e chimico, figura veramente eroica ed affascinante, di patriota perché, come era consuetudine, nella sua farmacia s'incominciò a cospirare contro il borbone dispotico, professionista di valore, schivo di rimanere in paese per impinguare col danaro le sue casse, preferì arruolarsi come volontario al servizio della Bandiera Nazionale in Africa. Ormai sulle orme del noto giurista Sìnoplese vissuto nel 1500, Nicola Carbone, degli avvocati Basile e Migliorini, del giudice Carbone Lorenzo, di Avati Giuseppe consigliere di Corte d'Appello, del cav. Rocco Nicolò Sostituto Procuratore Generale del Re in Palermo, di Monsignor Mangeruca vescovo di Gerace, di Rocco Trimarchi musicista, di Fimmanò Stanislao artista gioilliere, questa terra ricca di tradizioni, di cultura non poteva darci che uomini colti, uomini forgiati alla conquista dell'infinito sapere, uomini che, come nel passato, anche oggi, in ogni angolo della terra ove essi si trovano, s'impongono con la loro intelligenza, col loro sapere, con le loro iniziative.

 

Il terremoto del 1908

Quando si cominciava a riprendere il ritmo dell'operosità nel ricostruire il paese semidistrutto dai terremoti del 1894, 1905, 1907 si ebbe quello del 1908 che portò distruzione in moltissimi paesi, ma per fortuna in Sinopoli si ebbero poche vittime.

Foto del 1908 che raffigura la devastazione del terremoto

 

La guerra 1915-18.

Dopo le alterne, contrastanti e spiacevoli vicende del terremoto ancora molti Sinopolesi lasciarono la terra natia p andare altrove in cerca di pane e lavoro. Il Nord si dimostrò legato al Sud, gli aiuti furono enormi la sventura causata dai vari terremoti mitigò il contrasto che si ebbe subito dopo l'unità d'Italia. Nella guerra della Libia pochi furono gli uomini Sinopolesi che vi presero parte, il contrario avvenne invece nella guerra 1915-18. I nostri concittadini scrissero pagine d'eroismo, dando testimonianza di ardimento e di resistenza in quella dura guerra di trincea. Caddero ufficiali e soldati, uniti ed animati dal forte supremo amore per la Patria.

 

La spagnola e l'avvento del fascismo

Questa terra sembra maledetta da Dio, alle sventure d'ogni genere s'aggiunse nel 1518 la spagnola che falciò vittime, ben 171 persone perdettero la vita colpiti da questo morbo proveniente forse da Napoli. Venne allestito d'urgenza un lazzaretto nel barraccamento addossato ai ruderi del « Palazzu» dei Ruffo; molti ricordano oggi le scene strazianti dei morenti ed è viva la memoria dei loro morti. Alcuni, pur colpiti da questo terribile male, si salvarono, altri si spensero lentamente con piena lucidità mentale. Il male fece molte vittime anche perché non bisogna dimenticare che l'organismo umano era esausto, per avere affrontato, nell'arco di quasi tutta la vita, disastri naturali. Intanto si incominciarono i lavori della Centrale Elettrica Vasi. La societa' che costruì la centrale fu fondata nel 1914 dall'ing. Zhender e dal comm. Antonio Deleo, fu operante solo nell'ottobre del 1922 dando la luce al nostro Comune e ad altri. La Direzione fu affidata al Comm. Capua Rocco elettrotecnico, mentre come vice direttore dei lavori v'era il fratello Cav. Giuseppe Capua. Si arrivò così all'avvento del fascismo. Il Cav. Giuseppe Capua fondò a Sinopoli la prima Sezione del fascio, divenendo segretario politicò. Per varie vicende dopo un anno circa la sezione viene sciolta dal Console Minniti, il quale nomina un triunvirato presieduto dall'avv. Faraone.

 

Sinopoli durante la seconda guerra mondiale.

Nel 1940 una nuova guerra portò desolazione e morte in tutto il mondo. Dopo vittorie e sconfitte, l'Italia, unita dal patto d'acciaio alla Germania, venne annientata e vinta. Ricordo esattamente la nostra Sinopoli invasa dai tedeschi e le infinite autocolonne di mezzi, di carri armati, di autobunde che nelle nostre campagne stavano nascoste per non essere viste dagli aerei americani. In Sinopoli s'installò il comando Tedesco nella Casa Capua e quello italiano nella Casa Luppino Saverio. Una stazione radio trasmiittente e ricevente tedesca era alla fiera ed era collegata con infiniti posti. Il nostro suolo, che aveva conosciuto stranieri di ogni razza, fu ancora calpestato dai soldati di tutte le razioni. Non potrò mai dimenticare una colonna di soldati russi prigionieri che passò a piedi in condizioni miserevoli, per il nostro paese con al comando alcuni tedeschi e la cui fine non si è mai saputa. Non v'era posto, luogo e casa nei dintorni di Sinopoli ove non vi furono tedeschi. Il gruppo di soldati italiani antiparacadutisti che per molti mesi fu alloggiato nei locali dell'asilo non c'era più, e lo stesso reggimento di soldati italiani accampati alla fiera non c’ era più. Erano partiti tutti in prima linea e molti non tornarono alle loro case. Tutti i ponti d'accesso a Sinopoli furono minati e poi fatti saltare dai tedeschi per ostacolare l'avanzata americana. La nostra Sinopoli ospitò profughi di Cassino, erano diverse centinaia e di molti ricordo ancora il nome e la loro bellezza. Si viveva alla meglio, tutto era razionato e distribuito con la tessera annonaria. Sporadici incidenti successero tra Sinopolesi e soldati tedeschi, ci fu qualche morto tedesco e per opera dell'arciprete Sergiovanni, uomo di eccelso sapere, e del maresciallo Valente, qualche rione non verme raso al suolo, per rappresaglia dagli stessi tedeschi. In località « Donnu Ciccio », nel rettifilo per S. Procopio, v'era un ospedale da campo tedesco e in contrada « Morabito » un cimitero tedesco, dove furono seppelliti dieci morti per alcuni anni, un gruppo di amici avevano fatto la piantina con i rispettivi nomi. Queste salme furono esumate dopo molti anni della guerra e portate nella loro patria. Molti uffici provinciali furono trasferiti a Sinopoli, la sede del Banco di Napoli di Reggio era in casa Sofo, mentre le casse forti con ingenti valori, poiché allora era direttore il Rag. Lucisano Giuseppe, furono nascoste in luoghi segreti in contrada Moio come ho saputo molto tempo dopo. Il tesoro della chiesa, che consisteva in molti pezzi antichi sacri d'argento, venne murato nella cripta centrale dietro l'altare maggiore. Sinopoli, popolatissima nel periodo di guerra per i molti profughi e soldati, era divenuta davvero movimentata.

 

Bombardamento di Sinopoli.

Era l'alba del I settembre 1943, il sole con la sua luce contrastava con la cupa trisrtezza dei nostri volti; tutti ci guardavamo intorno e poiché ormai s'era abituati a vedere tedeschi in giro per il paese, non avendone visto quel mattino nessuno, ci interrogavamo, domandandoci in silenzio il perché di quella notturna ed improvvisa evacuazione. Colonne di fumo sì vedevano in lontananza, l'invasore tedesco tutto bruciava e distruggeva mentre si ritirava. In quei luoghi ove il giorno prima v’erano centinaia di automezzi e armi, rimaneva solo qualche mezzo in avaria abbandonato all'assalto dei cittadini. Ma cos 'era avvenuto durante la notte? Si disse dopo molto tempo che il comando tedesco era stato informato che aerei americani avrebbero bombardato a tappeto la zona, ed infatti così fu. Erano le ore undici circa, mi trovavo davanti alla casa Lupoi, il rumore cupo di aerei giunse alle mie orecchie e tutti quelli che eravamo nella veranda spinti dallo stesso Prof. Lupoi scappammo verso gli scantinati del palazzo. Alcuni di noi avendo visto gli aerei, pensammo che facessero cadere manifestini mentre in realta' non abbiamo fatto in tempo a rifugiarci che subito s'udirono i primi scoppi. Decine di aerei Liberator, incominciando da un centinaio di metri prima del Macello nella strada proveniente da S. Eufemia, e precisamente dove vi sono due alberi d'ulivo semistecchiti dallo scoppio ed ancora esistenti, per una larghezza di oltre duemila metri incominciarono a sganciare bombe medie fino alla centrale Vasi, e precisamente venne colpita tutta la zona ov'erano accampati i tedeschi 24 ore prima. In tre ondate successive vennero sganciate migliaia di bombe esplosive. Uscito dalla casa Lupoi, nel corso del bombardamento, per recarmi a casa mia, vidi tutte le case avvolte in fumo e polvere. La casa Milgilardi distrutta, lo stesso quella di Don Pasqualino Caruso, mentre egli ferito gemeva accanto ad un tedesco dalle carni straziate. Erano nella cunetta, c’era anche la moto tedesca. Davanti casa mia, dove avevo lasciato alcuni miei congiunti con amici, non v'era nessuno, ma solo devastazione: porte rotte, fori sui muri, un'altra bomba era caduta allo spigolo della casa in curva semidistruggendo la casa Parisi. Grida, desolazione, tutti erano scappati in campagna, abbandonando le case e gli averi. Il tratto che di corsa ho percorso fino alla fine del paese posso dire che fu una vera « via crucis »; per non vedere il corpo di zio Peppino Lirosi, (il secrestano) sventrato e con la testa fracassata, deviai verso il vicolo Delia, ma altra scena terrificante, mi si presentò davanti, una donna a brandelli in braccio al proprio figlio piangente, (era una sfollata di Palmi). Ed ancora, in piazza Municipio, decine di feriti e molti morti; grida di dolore pianto, implorazione d'aiuto, tanti amici miei morirono e fra questi uno ne ricordo, con vero rimpianto perché era della mia stessa età, mio vicino di casa, mio coetaneo. Correvo, non sapevo dov'ero diretto, la paura aveva invaso tutto me stesso, d'un tratto mi fermai, vidi sangue che scorreva luccicante che fuoriusciva dal fianco di un uomo seduto sul tronco di un albero, era vivo, stavo per dargli qualche inutile aiuto, ma di li a poco reclinò il capo, spalancando gli occhi, afferrato ormai dalla tragica inesorabile morte. Silenzioso, col cuore angosciato, anch'io come un'automa mi recai in campagna, mentre tutto il popolo cercò scampo dentro la galleria delle ferrovie Calabro-Lucane.

(Antonio Luppino 'Un sinopolese')

 

Fine del fascismo e della guerra.

Nel piazzale davanti alla Casa del Fascio, dove per venti anni vi erano state assemblee oceaniche di uomini e donne, piccoli e grandi e d'ogni ceto Sociale alcuni uomini dal volto strano ma di tempra e di carattere ferreo, s'incontrarono pubblicamente ed insolitamente. Erano l'avv. Marazzita Giuseppe di Palmi, l'on.le Priolo, l'avv. Calarco di Reggio e il maestro Luppino Rocco di Sinopoli. Erano uomini vissuti. per molti anni sotto il poliziesco controllo fascista, uomini che avevano sofferto la galera, uomini che credevano nei loro credo, uomini che mai si erano piegati al fascismo, Perché quest'incontro? Il giorno dopo, l'otto settembre, strana coincidenza con la festa della Madonna delle Grazie, si ebbe notizia della caduta del Governo fascista. Dopo alcuni giorni, i primi soldati americani entrarono in Sinopoli; Rocco Luppino venne nominato Sindaco di Sinopoli, S. Eufemia e S. Procopio Come d'incanto tutti quei fascisti di pochi giorni prima e di un ventennio scomparvero, quella « Bandiera Rossa », cantucchiata qualche anno prima della caduta del fascismo da un cittadino di Sinopoli (Giannazzu) quand'era ubriaco, divenne da quel giorno il canto più gradito di molti. Ingenti aiuti d'ogni genere furono portati dagli americani per alleviare ed attenuare la fame e lo stato miserevole di tutti i cittadini. La vita, in piena libertà, incominciò a riprendere il suo corso, ma, purtroppo, mancavano all'appello molti giovani gagliardi; erano partiti un giorno per servire la Patria, un gran numero non tornò più, rimase per sempre in terra straniera tra le steppe russe, i deserti africani o i lager nazisti; altri tornarono scheletriti, smunti, affranti, senza sorriso, invecchiati, col cuore pietrificato, tornarono nelle proprie case dove li aspettavano le mogli, i figli, i genitori, tornarono a Sinopoli e solo quando videro tutto quanto era loro caro forse si svegliarono dal lungo doloroso sogno che li aveva oppressi.

 

    Blibliografia per quanto riguarda la ressegna storica:
    Sinopoli nel Tempo [1973] Antonio Luppino, edizioni Frama's, Chiaravalle Centrale


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